Rapporto di indebitamento debt to equity ratio

di: Dott. Antonio Fortarezza

Dottore commercialista in Milano, Economista d’impresa, esperto in determinazioni quantitative aziendali e in architetture e gestione di sistemi di pianificazione e controllo nonché in valutazione d’aziende, marchi e quote societarie, docente e relatore nelle materie giuridiche ed economiche, AML Compliance Advisor.

Il rapporto di indebitamento debt to equity ratio, nel mondo della finanza e degli affari, è una metrica di fondamentale importanza per valutare la salute finanziaria e la stabilità di una impresa.

Basti solo pensare che l’EBA (European Banking Autority), ha pubblicato per gli operatori bancari le linee guida o “orientamenti” in materia di concessione e monitoraggio del credito, in cui il rapporto di indebitamento debt to equity ratio unitamente ad altri indicatori, è una metriche per la concessione e il monitoraggio del credito alle microimprese e alle piccole, medie e grandi imprese.

In altri termini è meglio che l’impresa conosca il proprio rapporto di indebitamento debt to equity ratio, poiché le banche lo calcolano, ed è un elemento probatorio che prendono seriamente in considerazione durante la raccolta delle informazioni ai fini della valutazione del merito creditizio e quindi per la concessione o la revoca degli affidamenti bancari.

Il rapporto di indebitamento debt to equity ratio, svolge un ruolo critico nell’analisi della struttura finanziaria di una impresa e nel profilo di rischio, e quantifica la proporzione delle fonti del capitale investito di una impresa proveniente dai debiti rispetto a quello proveniente dal capitale di rischio dei soci o analogamente, misura quanto un’azienda si affida al capitale preso in prestito rispetto a quello dei suoi azionisti o proprietari.

Rapporto di indebitamento e adeguati assetti

Alla luce degli obblighi previsti all’articolo 2086 Codice civile (in vigore dal 16/03/2019) che impongono all’impresa di dotarsi di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale e le indicazioni contenute all’art. 3 del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, entrato in vigore dal 15 luglio 2022, richiamano la metrica del rapporto di indebitamento debt to equity ratio.

Infatti l’art. 3 del D.Lgs. 14/2019, indica alle imprese siano esse collettive o individuali, che le misure da seguire per prevedere tempestivamente l’emersione della crisi passano attraverso una rilevazione tempestiva di eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore.

Da un punto di vista degli squilibri patrimoniali, assume una importanza fondamentale il costante monitoraggio non soltanto sui dati storici ma soprattutto sui dati previsionali con il budget del rapporto di indebitamento debt to equity ratio poiché come visto sopra è una importante misura per valutare le scelte con cui l’impresa ha deciso di finanziare la propria operatività tra mezzi di terzi e mezzi propri e quindi in ultima istanza per valutarne la propria rischiosità finanziaria.

Come si calcola il rapporto di indebitamento debt to equity ratio

La formula per calcolare il rapporto di indebitamento debt to equity ratio è molto semplice:

D/E = Debiti  / Patrimonio Netto 

Se sul fronte del denominatore (patrimonio netto) grandi problemi non ve ne sono poiché tale voce è quella che solitamente viene rappresentata nel bilancio d’esercizio, mentre invece sulla voce dei debiti è necessario effettuare alcune brevi osservazioni.

In generale è molto diffuso il calcolo che mette a rapporto con il patrimonio netto tutti i debiti dell’impresa, siano essi operativi o finanziari sia a breve che a medio lungo termine.

In realtà, nella logica del rapporto di indebitamento debt to equity ratio, al numeratore deve essere inserita la componente dei debiti finanziari al netto delle disponibilità finanziarie secondo la definizione di posizione finanziaria netta.

Il motivo è legato al fatto che in analisi finanziaria le fonti del capitale investito sono sostanzialmente di due tipi: la componente finanziaria (posizione finanziaria netta) e la componente legata ai mezzi propri, ed anzi, è proprio la Borsa Italiana che nelle sue metriche definisce il rapporto d’indebitamento come il rapporto tra indebitamento finanziario netto e patrimonio netto.

In conclusione, il metodo di calcolo del rapporto di indebitamento (D/E) più diffuso nell’ambito delle analisi finanziarie ma anche nell’ambito delle metriche per la valutazione delle aziende (quando si determina il costo medio ponderato del capitale) è quello che mette in relazione i debiti finanziari (posizione finanziaria netta) di un’azienda  con il suo patrimonio netto.

I debiti finanziari includono l’indebitamento a breve e lungo termine e possono includere prestiti, obbligazioni e altre passività finanziarie.

Valori del rapporto di indebitamento debt to equity ratio

L’analisi del rapporto di indebitamento (D/E), può fornire importanti informazioni sulle scelte finanziarie intraprese dall’impresa in ordine alle sue fonti di approvvigionamento delle risorse finanziarie.

In tutte le imprese il capitale investito è la somma del capitale circolante netto e del capitale fisso, e questo investimento può essere finanziato solamente in due modi:

  • Con il capitale proprio (cioè con le risorse finanziarie che ci mettono i soci o l’imprenditore)
  • Con l’indebitamento finanziario (cioè con le risorse finanziarie acquisite a titolo di presto e che ci mettono le banche o altri finanziatori).

Secondo questo approccio per interpretare il significato del risultato del rapporto di indebitamento (D/E), ed in maniera molto intuitiva possiamo fin da subito fare le seguenti considerazioni:

  • D/E < 1 ci dice che l’impresa ha finanziato il capitale investito preferendo il capitale proprio al debito finanziario;
  • D/E = 1 ci dice che l’impresa ha finanziato il capitale investito in egual misura tra debiti finanziari e capitale proprio;
  • D/E > 1 ci dice che l’impresa spinge il debito finanziario oltre il capitale proprio ed ha più debiti finanziari che capitale proprio.

È evidente che più alto è il rapporto di indebitamento, tanto più elevata è l’esposizione dell’impresa nei confronti delle banche e di altri finanziatori; mentre invece il rapporto di indebitamento (D/E) è considerato accettabile se è inferiore a 3.

Ad esempio, in un recente incarico professionale relativo alla valutazione di una azienda operante nel settore delle attrezzature agricole del nord est, sono state condotte analisi sui valori di bilancio di circa 800 imprese ed è stato calcolato il valore medio del rapporto di indebitamento (D/E) del campione aggregato pervenendo ai seguenti risultati:

 

Bilancio falso dai segnali di non continuità aziendale e responsabilità degli amministratori

di: Dott. Antonio Fortarezza

Dottore commercialista in Milano, Economista d’impresa, esperto in determinazioni quantitative aziendali e in architetture e gestione di sistemi di pianificazione e controllo nonché in valutazione d’aziende, marchi e quote societarie, docente e relatore nelle materie giuridiche ed economiche, AML Compliance Advisor.

Un’impresa è in condizioni di continuità aziendale quando può far fronte alle proprie obbligazioni ed ai propri impegni nel corso della normale attività.

Questo significa che la liquidità derivante dalla gestione corrente, insieme ai alle risorse finanziarie disponibili (sul conto corrente, in cassa, mediante opportune linee di credito etc ) dovranno essere sufficienti per rimborsare i debiti e far fronte agli impegni in scadenza.

Il periodo temporale di riferimento per gli amministratori di società, per la valutazione della continuità aziendale, non può essere inferiore a 12 mesi.

In molti casi, gli amministratori di società, pur senza effettuare nessuna valutazione sulla continuità aziendale, nei bilanci con formule abbastanza di stile evidenziano che “….il bilancio è stato predisposto nel presupposto della continuità aziendale…” ed in tal caso attraverso questa falsa certificazione assicurano i soci e i terzi in maniera scorretta ed irregolare che l’impresa almeno nei prossimi 12 mesi con i propri incassi riuscirà a ripagare i propri debiti.

Gli amministratori spesso non si rendono minimamente conto delle rilevanti responsabilità di natura civilistica e penale che tale falsa attestazione sulla continuità aziendale comporta, anche ma non solo, alla luce degli obblighi previsti all’articolo 2086 Codice civile (In vigore dal 16/03/2019) che impongono all’impresa di dotarsi di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale.

In altri termini, con i precetti previsti dal codice civile all’art. 2086 e con le indicazioni contenute all’art. 3 del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, entrato in vigore dal 15 luglio 2022, oggi è praticamente impensabile che all’interno delle imprese si possa derogare da un concreto accertamento da parte degli amministratori dei presupposti relativi alla continuità aziendale, poiché le norme in commento senza mezzi termini impongono una organizzazione amministrativa e contabile che preveda almeno i seguenti strumenti per il controllo di gestione:

Ovviamente il test relativo alla continuità aziendale sarà di agevole predisposizione da parte delle piccole imprese poiché meno complesse, mentre invece sarà più articolato ed impegnativo quando le imprese sono di più grandi dimensioni.

La continuità aziendale e la prospettiva della continuazione dell’attività

La continuità aziendale è un principio di coerenza delle azioni gestionali collegato al futuro, ed altro non è che la capacità dell’impresa di andare avanti garantendo flussi reddituali positivi e soprattutto flussi di cassa nel tempo.

Tale principio, di ispirazione gestionale, è anche posto a fondamento di qualunque valutazione di bilancio, ed in effetti l’art. 2423 del Codice Civile, stabilisce che la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato.

Quali sono le evidenze esterne della non continuità aziendale?

Uno spunto di grandissimo interesse, per effettuare un test sulla continuità aziendale, ci viene offerto dai principi di revisione internazionale ISA ITALIA 570, in cui vengono evidenziati eventi o circostanze che possono far sorgere dubbi sul presupposto della continuità aziendale.

A livello concettuale, questi indicatori considerati individualmente o nel loro complesso, possono far sorgere dubbi significativi sul presupposto della continuità aziendale.

Nel documento ISA ITALIA 570, viene chiarito che questo elenco di indicatori non è esaustivo e la presenza di uno o alcuni degli elementi riportati di seguito non implica necessariamente l’esistenza di un’incertezza significativa.

Indicatori finanziari

  • situazione di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo;
  • prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso; oppure eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine;
  • indizi di cessazione del sostegno finanziario da parte dei creditori;
  • bilanci storici o prospettici che mostrano flussi di cassa negativi;
  • principali indici economico-finanziari negativi;
  • consistenti perdite operative o significative perdite di valore delle attività utilizzate per generare i flussi di cassa;
  • difficoltà nel pagamento di dividendi arretrati o discontinuità nella distribuzione di dividendi;
  • incapacità di pagare i debiti alla scadenza;
  • incapacità di rispettare le clausole contrattuali dei prestiti;
  • cambiamento delle forme di pagamento concesse dai fornitori, dalla condizione “a credito” alla condizione “pagamento alla consegna”;
  • incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari.

Indicatori gestionali

  • intenzione della direzione di liquidare l’impresa o di cessare le attività;
  • perdita di membri della direzione con responsabilità strategiche senza una loro sostituzione ;
  • perdita di mercati fondamentali, di clienti chiave, di contratti di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti;
  • difficoltà con il personale;
  • scarsità nell’approvvigionamento di forniture importanti;
  • comparsa di concorrenti di grande successo.

Altri indicatori

  • capitale ridotto al di sotto dei limiti legali o non conformità ad altre norme di legge;
  • procedimenti legali o regolamentari in corso che, in caso di soccombenza, possono comportare richieste di risarcimento cui l’impresa probabilmente non è in grado di far fronte;
  • modifiche di leggi o regolamenti o delle politiche governative che si presume possano influenzare negativamente l’impresa;
  • eventi catastrofici contro i quali non è stata stipulata una polizza assicurativa ovvero contro i quali è stata stipulata una polizza assicurativa con massimali insufficienti.

L’Agenzia delle Entrate comunica i segnali di allarme della crisi d’impresa per i debiti relativi all’iva non versata

Con il riordino della disciplina delle norme sulla crisi d’impresa, quella che tra l’altro obbliga gli amministratori a dotare la loro società di precisi strumenti di controllo di gestione per prevenire la crisi, dal 15 luglio 2022 sono entrate in vigore importantissime novità.

Si ricorda che il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) tra l’altro prevede:

  • Precisi obblighi sull’organizzazione contabile ed amministrativa finalizzati alla rilevazione tempestiva della crisi d’impresa (Art. 3 del DLgs. 14/2019), in pratica un sistema di controllo dei flussi di cassa previsionali;
  • Un tempestivo sistema di segnalazione per consentire ove possibile l’accesso alla composizione negoziata della crisi (art. 12 del DLgs. 14/2019), nei casi in cui il debitore versi in condizioni di squilibrio patri­moniale o economico-finanziario, tali da renderne probabile la crisi o l’insolvenza, e risulta ra­­gionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.

Dal 15 luglio 2022 alcuni enti pubblici in presenza di debiti dei contribuenti saranno obbligati ad effettuare delle specifiche comunicazioni.

Infatti, l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia della riscossione, l’Inps e l’Inail, effettuano delle comunicazioni all’imprenditore o all’Organo di Controllo che contengono l’invito alla presentazione dell’istanza di accesso alla composizione ne­­goziata della crisi di cui all’art. 17 co. 1 del DLgs. 14/2019, ovviamente nei casi in cui ne ricorrano i presupposti.

Ma quali sono le soglie di allarme che sono state giudicate rilevanti?

L’Agenzia delle Entrate effettuerà la comunicazione tutte le volte che rileverà in capo al contribuente l’esistenza di un debito scaduto e non ver­­­sato relativo all’IVA, risultante dalle liquidazioni periodiche, di importo superiore a 5.000,00 euro e, comunque, non inferiore al 10% dell’ammontare del volume d’affari risultante dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente e la segnalazione sarà, in ogni caso, inviata, quando il debito relativo all’IVA è superiore a 20.000,00 euro.

L’INPS effettuerà la comunicazione in presenza di un ritardo di oltre 90 giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore:

  • per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati, al 30% di quelli dovuti nell’anno precedente e all’importo di 15.000,00 euro;
  • per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati, all’importo di 5.000,00 euro.

Per l’INAIL, invece, diventa rilevante ai fini della segnalazione l’esistenza di un debito per premi assicurativi scaduto da oltre 90 giorni e non versato, superiore all’importo di 5.000,00 euro.

Infine, l’Agenzia della Riscossione, farà la segnalazione in tutti i casi in cui in presenza di crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre 90 giorni, superiori, per le imprese individuali, all’importo di 100.000,00 euro, per le società di persone, all’importo di 200.000,00 euro e, per le altre società, all’importo di 500.000,00 euro.

Accesso ai dati della centrale rischi quale adeguato assetto organizzativo per la gestione finanziaria

L’accesso ai dati della Centrale Rischi da parte delle imprese, nell’ambito della loro gestione finanziaria diventa di notevole importanza poichè con il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza molte leggerezze del passato oggi non sono più possibili.

E’ inutile girarci intorno perchè avere i dati in ordine nella Centrale dei Rischi per l’impresa è di vitale importanza, poichè ogni amministratore di società, ha il dovere (concreto e dimostrabile) di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale.

La Centrale dei Rischi (CR), è un archivio di dati che contiene le informazioni sui debiti delle imprese (ma anche delle famiglie) nei confronti del sistema bancario e finanziario.

Infatti nel nostro sistema la Centrale dei Rischi favorisce l’accesso al credito per la clientela “meritevole” e cioè chi ha una buona “storia creditizia” è più facile che ottenga un finanziamento e a condizioni migliori.

L’obiettivo della Centrale dei Rischi è quello di:

  • migliorare il processo di valutazione del merito di credito; i dati della CR forniscono infatti la “storia creditizia” di un cliente, cioè la descrizione dei suoi comportamenti nell’ambito dei rapporti di finanziamento;
  • innalzare la qualità del credito concesso dagli intermediari;
  • rafforzare la stabilità del sistema finanziario.

I dati della Centrale dei Rischi sono alimentati dalle informazioni che banche, società finanziarie e altri intermediari finanziari, trasmettono periodicamente relativamente ai crediti e alle garanzie concessi alla propria clientela, alle garanzie ricevute dai propri clienti e ai finanziamenti o garanzie acquistati da altri intermediari.

Le banche e gli altri intermediari finanziari, quando classificano un cliente come debitore in sofferenza, sono tenute ad effettuare una segnalazione alla Centrale dei Rischi, quando ritengono che abbia gravi difficoltà a restituire il proprio debito.

Pertanto l’accesso ai dati della Centrale dei Rischi da parte delle imprese consente di conoscere tutta la sua esposizione nei confronti del sistema delle banche oltre che eventuali segnalazioni di sofferenze segnalate dagli intermediari finanziari.

Accesso ai dati della Centrale Rischi online

Si può avere accesso ai dati della Centrale Rischi online presentando una specifica richiesta utilizzando il link diretto al servizio online CR.

Al fine di accedere a uno spazio personale in cui si può compilare ed inoltrare la richiesta di accesso ed esportazione dei dati contenuti nella propria Centrale dei Rischi, è necessario identificarsi con SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) o CNS (Carta Nazionale dei Servizi).

L’accesso ai dati della Centrale dei rischi della Banca d’Italia da parte dei diretti interessati è gratuito.

Di regola il sistema fornisce una risposta entro 30 giorni dalla data di ricezione della richiesta di accesso ai dati della Centrale dei rischi.

Nel caso di richieste di accesso presentate da un delegato per conto di persone giuridiche, la risposta verrà fornita entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta e i dati verranno recapitati direttamente alla persona giuridica delegante.

Accesso ai dati della Centrale Rischi online ogni mese

Dal 2 ottobre 2020 le società possono sottoscrivere sulla piattaforma “Servizi online” un abbonamento per ricevere mensilmente i dati della Centrale dei Rischi al proprio indirizzo PEC.

L’abbonamento è gratuito e ha la durata di un anno; è rinnovabile alla scadenza e può essere revocato in ogni momento.

Il servizio può essere sottoscritto esclusivamente dal legale rappresentante munito di SPID o CNS. Per avviare l’abbonamento il legale rappresentante deve richiedere i dati della società riferiti all’ultima data disponibile.