L’intero settore vitivinicolo era da tempo che aspettava una nuova regolamentazione per le attività dell’enoturismo, che sono arrivate nel mese di dicembre con la Legge n. 205 del 2017 (la legge di bilancio per il 2018). Finalmente anche il nostro legislatore, nonostante i difficilissimi scenari economici, si è accorto che l’enoturismo, è un settore che porta a spasso per la nostra meravigliosa penisola milioni di persone, contribuendo al rilancio della nostra economia sia in termini di produzione che di occupazione.
Enoturismo e settore vitivinicolo
Era il lontano 1993, quando il settore vitivinicolo iniziò a sfruttare la filiera dell’indotto del vino, avviando la campagna “cantine aperte” e quel processo ha portato alla nascita ed allo sviluppo di un nuovo modello anche di business legato ad alcuni valori culturali non ancora sfruttati. Il settore vitivinicolo per la prima volta, si affaccia ad una nuova forma di comunicazione che ha portato il marketing vitivinicolo ad essere uno strumento su cui puntare per rilanciare l’immagine del vino anche sui mercati internazionali.
Oggi la “cantina”, non è più vista soltanto come quel luogo in cui acquistare il vino, ma come un ambiente in cui vivere esperienze culturali e territoriali, e perchè no, anche per rilassarsi in luoghi affascinanti e circondati dalla natura. Se qualcuno si è perso ad esempio il fascino delle colline di Valdobbiadene, magari in autunno al tramonto, si è perso un pezzo della nostra Italia, se poi in quel panorama non si è bevuto un bicchiere di prosecco, si è perso un pezzo di vita.
Nei dati dell’ultimo rapporto Censis-Federvini emerge che nel 2016, 24 milioni di italiani hanno partecipato a eventi enocorrelati, ossia sagre, feste locali e trascorso vacanze più o meno estese in località celebri per l’enogastronomia, e se parliamo di numeri possiamo stimare che soltanto per questo fenomeno legato all’enoturismo ed ipotizzando che ognuno abbia bevuto un solo bicchiere di vino, sono state consumate circa 7 milioni di bottiglie.
In termini generali, alcuni dati relativi all’anno 2015, parlano di un fatturato generato dal turismo del vino di circa 2,5 miliardi di euro, senza considerare l’indotto generato dall’enoturismo.
Per questo motivo parlare di enoturismo non vuol dire solo bere un bicchiere di vino, poichè nel settore vitivinicolo, soprattutto negli ultimi anni, il vino ha cambiato radicalmente la propria immagine, trasformandosi da prodotto, in dimensione socio-culturale legata al proprio territorio.
In effetti, questa nuova dimensione socio-culturale, che certamente ricomprende le caratteristiche dei sapori e delle diverse proprietà e qualità organolettiche del vino, si allarga fino a ricomprendervi tutto ciò che è legato ai concetti della tradizione e dei saperi del territorio per arrivare fino alla filiera del turismo.
Chi può fare enoturismo?
Con la legge di bilancio 2018, viene fornita la definizione di attività di enoturismo.
Con il termine «enoturismo» si intendono tutte le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni vinicole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine.
Nella definizione di enoturismo fornita dal legislatore, il perimetro delle attività si amplia ricomprendendovi, certamente la degustazione del vino, ma anche altre attività che possono spaziare nella realizzazione di veri e propri pacchetti turistici divulgabili anche attraverso il web in tutto il mondo.
Alle attività di enoturismo, si applicano le disposizioni relative al settore dell’agriturismo, che ricomprende anche le le agevolazioni fiscali previste e disciplinate dall’art. 5 della L. 413/1991. In pratica sull’inquadramento normativo, il legislatore ha fatto una scelta precisa, rinviando per questa nuova attività, alle ordinarie disposizioni già previste per le attività agrituristiche.
Agevolazioni fiscali per l’enoturismo
Per gli imprenditori che esercitano attività di enoturismo, fatta eccezione per i soggetti IRES (società di capitali ed enti commerciali), il reddito imponibile derivante dall’esercizio di tale attività si determina applicando all’ammontare dei relativi ricavi conseguiti, al netto dell’IVA, il coefficiente di redditività del 25%.
Se non vi saranno modifiche, si evidenzia che per queste imprese, il regime fiscale di favore come evidenziato sopra, rappresenta la regola naturale, nel senso che chi esercita l’attività di enoturismo mediante apposita opzione vincolante per un triennio può avvalersene o meno. Nulla vieta al contribuente in questione di scegliere il regime ordinario che prevede la tassazione del reddito come differenza tra i costi deducibili e i ricavi.
Coefficiente di redditività del 25% per le imprese enoturistiche, vuol dire ad esempio, che fatto 100 mila euro di ricavi derivanti da tale attività, il reddito imponibile su cui calcolare le imposte nei modi ordinari è pari a 25 mila euro.
In pratica l’imprenditore dovrà valutare ad esempio se per produrre i ricavi di 100 mila euro, ha sostenuto costi superiori ad euro 75 mila, poichè in tal caso non avrà convenienza a scegliere la tassazione forfettaria.
Enoturismo con Iva forfetaria
Il regime forfetario dell’Iva di cui all’art. 5 co. 2 della L. 413/91, prevede che l’Iva dovuta si determina riducendo l’imposta delle operazioni imponibili in misura pari al 50% del suo ammontare a titolo di detrazione forfetaria dell’imposta afferente agli acquisti e alle importazioni, e si applica solo per i produttori agricoli.
Secondo tale sistema, che non presenta novità sostanziali rispetto alla previgente normativa per il settore dell’agriturismo, il legislatore consente all’attività di enoturismo, di determinare l’iva da versare, riducendola di una percentuale pari al 50% dell’iva incassata sulle operazioni imponibili. Ad esempio l’imprenditore che per tali attività ha incassato nei corrispettivi 6 mila euro di iva, dovrà versarne all’erario 3 mila euro.
Infine si ricorda, che per tale attività, è necessario presentare al comune di competenza una normalissima della segnalazione certificata di inizio
attivita, la pratica SCIA.